mercoledì 13 aprile 2011

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Giustizia: Un percorso che parte da lontano, per arrivare ad una riforma epocale di sistema


Il dieci marzo scorso, il Ministro Angelino Alfano a nome del Governo, di cui fa parte, ha esposto le linee direttrici di intervento legislativo in merito alla tanta agognata riforma della Giustizia. Si tratta precisamente, da un lato, di un disegno di legge costituzionale composto da 18 articoli (che andranno a modificare - se approvati - parte del Titolo IV della Carta Costituzionale ) e dall'altro, di una serie di leggi di rango primario atte a dare attuazione ai medesimi principi. In questo senso si può parlare - a ragion veduta - di un percorso di riforma, necessariamente lungo ed irto, da considerare in generale come “un primo passo di riforma verso una Giustizia più giusta e celere in linea con le maggiori legislazioni processuali degli altri Paesi Occidentali” come si è profuso a dichiarare nella conferenza stampa di presentazione del progetto di riforma lo stesso Ministro.
Per essere precisi, poi, tale percorso si inserisce in un più ampio cammino di riforme, in parte iniziato dal legislatore italiano nel lontano 1988 con l'approvazione del nuovo codice di procedura penale, ripreso poi dalla legislazione costituzionale del 1999 (quella del cd. Giusto Processo) e culminato nella riforma del codice di procedura civile del 2009. Tutti interventi , questi, accomunati da una maggiore sensibilità del Legislatore verso le tematiche afferenti il diritto alla difesa del cittadino-imputato, come anche quelle legate alle garanzie processuali tout court. Con l'intenzione poi, di spingersi oltre quella “cultura del sospetto” tipica dei modelli processuali inquisitori per raggiungere – diversamente - un più maturo equilibrio fra le parti del processo e il giudice (terzo e imparziale).
In sostanza, la presente riforma non fa altro che “ impacchettare”, cioè dare forma , alle legislazioni pregresse (che si incentravano più propriamente sul diritto alla difesa del cittadino- imputato), per addivenire - questa volta – ad una riforma complessiva del rapporto giudice-funzionario e sistema di giustizia in senso lato.
E' anche bene ricordare che,- tanto per evidenziare la storicità degli eventi - il codice di procedura penale viene alla luce proprio nel periodo successivo agli “anni di Piombo”, quando non si avvertiva più l'esigenza di mantenere intatte la legislazione speciale e punitiva tipica del codice Rocco e, quella serie di interventi di natura speciale legati al periodo, a cavallo degli anni '70 e '80, della cd. “ legislazione emergenziale”. Dove, maggiormente e diversamente, era forte l'esigenza dell'apparato statuale di dotare le forze di polizia giudiziaria e della magistratura requirente di una serie di strumenti , sì di alto impatto sui diritti dell'individuo, ma che si giustificavano con la protezione del più importante valore dell'ordine costituito repubblicano.

Entrando del dettaglio del disegno di legge costituzionale, si capisce chiaramente – a pelle - che il Governo tenderà a muoversi su quattro distinti pilastri di principio. Il primo, legato alla separazione delle carriere dei giudici ( oggi solo apparente e per funzioni) per introdurre successivamente nella legislazione di dettaglio anche due distinti concorsi, l'uno per l'accesso alla professione di giudice e l'altro per quello di pubblico ministero. Invero, più propriamente si ritiene che i magistrati ad inizio carriera dovranno decidere anticipatamente quale delle due strade percorrere. Il Pubblico Ministero, che riveste il ruolo della pubblica accusa, verrà più o meno equiparato all'avvocato della difesa. Il giudice, magistrato giudicante, sarà membro di un “ ordine autonomo e indipendente da ogni potere e soggetto soltanto alla legge”. Ciò imporrà che il Consiglio Superiore della Magistratura - oggi diviso per sezioni - sarà suddiviso in due organi distinti, con propri uffici e norme di funzionamento, l'uno più propriamente denominato “Consiglio Superiore della Magistratura Requirente” l'altro della “Magistratura Giudicante”.
Cambieranno anche le regole di composizione e funzionamento dei due organi, infatti, già a livello di carta costituzionale si indicherà , nei riformulati artt. 104-bis e ter , che i rispettivi componenti saranno eletti per metà da tutti i giudici ordinari appartamenti alla medesima categoria previo sorteggio degli eleggibili e, per metà dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio. Ne fanno parte - inoltre - di diritto, il Presidente della Repubblica, che presiede , e rispettivamente il primo presidente e il primo procuratore della Corte di cassazione. La durata della carica di consigliere è di anni quattro e non possono essere rieletti. Peraltro, v’è da aggiungere che in un’ottica di ampia riforma, gli uffici del Pubblico Ministero dovrebbero essere istallati in edifici autonomi rispetto al Tribunale, affinché venga garantita sul serio l’equidistanza delle parti dal magistrato giudicante, anche attraverso una netta separazione degli uffici giudiziari.

Il secondo pilastro attiene all'introduzione della responsabilità dei magistrati, difatti il nuovo art. 113 bis Costituzione, sarà riformulato nel modo seguente: i magistrati sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione di diritti al pari degli altri funzionari e dipendenti dello Stato. E si farà rinvio, inoltre, ad una atto di normazione successivo, per disciplinare la responsabilità civile dei magistrati per i casi di ingiusta detenzione e di altra indebita limitazione della libertà personale.
Importante poi, la norma che estende la medesima responsabilità anche allo Stato. Oggi, nei fatti, risulta solo lo Stato l'unico responsabile degli atti e comportamenti indebiti dei propri magistrati-funzionari. E' facile intuire , poi, - per la portata della norma - “ il vespaio” di critiche che porterà con se tale intervento, anche perché, in molti considerano la responsabilità civile dei magistrati un “grimaldello” della attuale classe politica da utilizzare ad uso e consumo nei confronti dell'ordine dei magistrati.
Altra innovazione - sempre attinente al comportamento del magistrato nell'espletamento delle sue funzioni - a riguardo la previsione di una Corte di disciplina divisa per sezioni, alla quale spetterà il compito di decidere sui provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati. La legge, poi, assicurerà “ l'autonomia e l'indipendenza dell'Alta Corte di Giustizia ed il principio del giusto processo nello svolgimento della sua attività. Anche la composizione del medesimo organo ricalca la disciplina della composizione degli altri componenti del Consiglio Superiore, sia per quanto attiene la quota di Consiglieri da eleggere in seduta comune in Parlamento sia per la quota da eleggere fra i togati della categoria di appartenenza.

Il terzo pilastro è quello relativo all'esercizio dell'azione penale, che rimarrà obbligatoria, cioè il PM avrà l'obbligo di esercitare l'azione penale nel caso di notizie di reato assunte, ma lo dovrà fare - questa la novità – secondo criteri stabiliti dalla legge. In parole più semplici, sarà la legge, anno per anno a indicare al PM i criteri di priorità dei procedimenti penali, e questo, in base ad una valutazione politica e non più a discrezione del magistrato. Come nei fatti lo è oggi. A questo aggiungasi che, con la nuova riforma - se andrà in porto – il PM e il giudice disporranno della polizia giudiziaria pur con i limiti stabiliti dalla legge, rimandando quindi a una legge ordinaria ulteriori chiarificazioni e limitazioni.

Ultimo aspetto della riforma a riguardo l'inappellabilità delle assoluzioni, su questo punto, il legislatore aveva contribuito già con la legge Pecorella ( 2006) a introdurre per atto normativo primario qualcosa di simile, ma la Corte Costituzionale in due pronunce diverse, l'una del 2007 e l'altra del 2008 dichiarò il testo parzialmente incostituzionale per contrarietà al principio di uguaglianza e di parità delle armi fra accusa e difesa, posto che l'accusa, in caso di assoluzione in primo grado dell'imputato rimaneva esautorata del potere proprio del PM di proporre appello. Così oggi, si ritenta in via costituzionale di far passare il principio per cui se il giudice di primo grado ha ritenuto che il fatto non sussiste o per altra formula liberatoria, anche il PM debba comunque astenersi dal proporre l'impugnativa, anche perché si tratterebbe di un'ipotesi di accanimento nei confronti dell'imputato risultato vittorioso con formula piena , ancorché in primo grado.

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