
Il legislatore dopo un iter di approvazione lungo e dibattuto, a causa delle numerose polemiche che si sono inserite dentro e fuori le Istituzioni, è riuscito comunque lo scorso dicembre “a portare a casa “la cd. Riforma Gelmini, volta a introdurre meccanismi di meritocrazia e di efficienza organizzativa all'interno del sistema universitario.
Si parla , - impropriamente - in subiecta materia di “Riforma”, anche se in verità si tratta di norme che meramente e principalmente si inseriscono nell'alveolo della normativa di settore per la riorganizzazione del sistema di reclutamento, organizzazione interna ed esterna dell'Università nel suo complesso. E a ciò, si aggiungono una serie di deleghe al Governo per introdurre elementi di competitività e di efficienza gestionale, nonché di meritocrazia da emanare entro l'anno di rifermento (2011 -12).
La riforma Gelmini, come voluta dal suo estensore e dalla maggioranza parlamentare che l'ha approvata, si inserisce in un più ampio dibattito che attiene al grado di competitività del nostro sistema universitario rispetto a quello degli altri Paesi Europei e non. I dati che emergono dalle analisi di settore sono preoccupanti e mettono bene in evidenza l'inadeguatezza del nostro “sistema sapere”. Basta rammentare che nel 2006 il numero dei laureati in Italia si presentava come in assoluto il più basso ( appena il 17%) fra i paesi OCSE, superato dalla Germania con il 22%, dalla Gran Bretagna con il 37%, dalla Spagna e USA con il 39%, dalla Francia con il 41% e dal Giappone con il 54%. E ad oggi – purtroppo - non risulta alcuna inversione di tendenza.
Paradossalmente, il dato però non sarebbe così sconfortante se ad un minor numero di laureati corrispondesse una maggiore “bravura” degli stessi, atteso che il vero significativo obiettivo da raggiungere per ogni sistema di alta formazione e di ricerca avanzata che si rispetti, è quello di creare sintonie con il mondo del lavoro attraverso la determinazione di un modello che abbia come finalità concreta la necessità di produrre laureati di maggior qualità utilizzando una selezione autenticamente rigorosa.
Non è un caso che, proprio oggi , le Università italiane risultino essere addivenute delle grandi ”aree di parcheggio” dove le famiglie e i giovani si aggrappano in attesa di tempi migliori ( a causa della presente stagnazione economica), salvo poi perdersi nella disillusione e nel fatalismo sterile e improduttivo che anima la mente delle nuove generazioni. Queste , a mio avviso le premesse (fenomenologiche) che molto sommariamente e sinteticamente hanno fatto da cornice al provvedimento in esame. Tal che oggi si può parlare - apertamente - di un primo passo verso più ampie prospettive che mettano in luce un nuovo modello universitario maggiormente funzionale agli interessi del lavoro. Si potrebbe anche sintetizzare il concetto, ponendo la riforma Gelmini “come punto di partenza e non di arrivo” verso un modello “nuovo e funzionale” dell'Università aperto a principi quali la concorrenza, l'efficienza e la meritocrazia.
Ora – nel proseguo - vediamo nel dettaglio, quali e come sono strutturate le innovazioni apportate dalla normativa testé oggetto di analisi. Partiamo dal titolo I della presente legge, a proposito di “organizzazione del sistema universitario”, il quale prevede, nel generale quadro di riordino complessivo della Pubblica Amministrazione, la modifica degli statuti dei singoli atenei da effettuarsi nel termine di sei mesi dall'entrata in vigore della legge, e secondo i principi di semplificazione, efficienza, efficacia e trasparenza dell'attività amministrativa.
Nello specifico , si ridefiniscono la composizione, la durata e la funzione degli organi facenti capo alle singole Università: al Rettore è affidata la rappresentanza legale dell'ateneo, con funzioni di indirizzo e di coordinamento della attività scientifiche e didattiche, ed è eletto tra i professori ordinari. La durata della carica è vincolata ad un unico mandato di sei anni non rinnovabili. Segue, il Senato accademico, che elabora proposte e pareri obbligatori in materia di didattica e di ricerca, e resta in carica per quattro anni e può essere rinnovato una sola volta. Diversamente, al Consiglio di Amministrazione ( CdA) è attribuita una competenza gestionale ed una specifica (competenza) a livello disciplinare; approva i bilanci dell'ente. Si è poi introdotta la figura del direttore generale, da scegliere tra personalità di elevata qualificazione professionale e comprovata esperienza pluriennale, con funzioni dirigenziali. Il suo rapporto di lavoro è regolato da un contratto a tempo determinato di durata non superiore a quattro anni; rinnovabile. Previsto poi, un nucleo di valutazione, con soggetti di elevata qualificazione professionale in prevalenza esterni all'ateneo; esercita compiti di verifica della qualità e dell'efficienza dell'offerta didattica, su parametri individuati da una commissione paritetica composta da studenti e docenti. Questo, a grandi linee il nuovo organigramma al netto della riforma. Ma per non perdersi nel tecnicismo esasperato, si potrebbe riassumere nei seguenti termini: separazione fra le funzioni tra Senato e Consiglio, il primo avanzerà proposte di carattere scientifico, ma sarà il CdA ad avere la responsabilità finanziaria e contabile dell'ente. In più, la neo figura del direttore generale avrà compiti di responsabilità e dovrà rispondere delle proprie scelte come un vero e proprio manager. Infine, funge da corollario di questa nuova e ritrovata fisionomia dell'ente, il vincolo ad un solo mandato per quanto riguarda il Rettore. Quest'ultima novità, ha trovato, poi, un forte apprezzamento e un largo consenso persino all'interno del movimento studentesco, da sempre contrario alla Riforma Gelmini.
Sempre per quanto riguarda la trasparenza e l'efficienza gestionale, è da apprezzare, anche, la previsione di adozione di un codice etico della Comunità universitaria, al fine di evitare - con un atto di normazione interna - situazioni di incompatibilità di cariche o funzioni, e ipotesi di conflitti fra i vari interessi in gioco. Il codice , in sostanza, determina i valori fondamentali della comunità, promuove il riconoscimento e il rispetto dei diritti individuali, nonché l'accettazione di doveri e responsabilità nei confronti dell'istituzione di appartenenza; e detta regole di condotta nell'ambito della Comunità.
Altra novità – sempre da legare ad una migliore efficienza gestionale – riguarda la possibilità riconosciuta a due o più università di federarsi, anche limitatamente ad alcuni settori di attività o strutture, o anche fondersi. Al fine così, di migliorare la qualità, l'efficienza e l'efficacia dell'attività didattica, di ricerca e gestionale, e di razionalizzazione e ottimizzazione delle strutture e risorse.
Passando poi al Titolo II, la legge ha previsto una serie di deleghe al Governo in materia di qualità ed efficienza del sistema, che si legano alla previsione di un fondo speciale per il merito da istituire presso il Ministero, finalizzato a promuovere l'eccellenza e il merito fra gli studenti, mediante prove di ammissioni nazionali su criteri da individuare a priori e con meccanismi standard. Il Fondo, gestito di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, è alimentato con versamenti effettuati a titolo spontaneo e solidale da privati, società, enti e fondazioni. Così da legare la funzione didattica con le esigenze del mercato del lavoro, attraverso una sorta di apertura preferenziale al “privato” al fine ultimo di contribuire allo sviluppo di una società meritocratica e plurale.
A complemento dell'analisi testuale, nel Titolo III rubricato “norme in materia di personale accademico e riordino della disciplina concernete il reclutamento” si inserisce l'abilitazione scientifica nazionale, che ha durata quadriennale e richiede requisiti distinti per funzioni di professore ordinario o associato. Tale abilitazione, diverrà requisito necessario per l'accesso al ruolo di professore di prima e seconda fascia, e sarà attribuita a seguito di procedura concorsuale da bandire con frequenza annuale a livello nazionale. Così, per ogni settore concorsuale verrà istituita un'unica commissione nazionale di durata biennale per le procedure di abilitazione a professore associato o ordinario, la quale ( commissione) andrà a verificare – seguendo criteri da indicare in sede di regolamento – le professionalità dei partecipanti al concorso. Interviene , poi – in seconda battuta - “la chiamata” da parte degli atenei, attraverso selezioni indette dagli stessi (atenei) e basate sulla valutazione di pubblicazioni e curriculum di studiosi in possesso dell'abilitazione per settore concorsuale, come sopra richiamato. Infine, la formulazione della “proposta di chiamata” da parte del dipartimento avviene con il voto a maggioranza dei professori a ruolo, e con approvazione della delibera da parte del Consiglio di Amministrazione ( CdA). Per quanto riguarda invece, la procedura di reclutamento del ricercatore, essa avviene tramite una selezione interna all'ateneo, e comporta la stipula di un contratto triennale, prorogabile per soli due anni; previa valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte, effettuata sulla base di modalità, criteri e parametri da definire con decreto ministeriale. Così, anche il ricercatore per acquisire il ruolo di professore ( prima e seconda fascia) dovrà essere in possesso dell'abilitazione, che come sopra riportato, a validità quadriennale e necessità anche dell'ulteriore - per così dire - “gradimento”da parte del collegio dei professori a ruolo, i quali andranno a formulare preordinatamente la proposta di chiamata in favore del singolo ricercatore, che andrà ad assumere il ruolo di professore.
Cambia , in definitiva il meccanismo per entrare a lavorare nell'università, non più legato alle graduatorie a scorrimento (che tanto hanno fatto discutere ) per passare diversamente al meccanismo della abilitazione scientifica nazionale e della successiva chiamata da parte dello stesso ateneo.
In ultima analisi, un giudizio complessivo sulla Riforma universitaria, è oggettivamente difficile da esporre, anche perché come ho già anticipato all'inizio dell'articolo non si tratta di una riforma di sistema ma di un riassetto organizzativo dello stesso. Personalmente – lo dico in sincerità – mi sarei aspettato una riforma di più ampio respiro, che ponesse come obiettivo principe il superamento del valore legale della laurea, e che sostituisse “l'abilitazione” con il solo meccanismo della “chiamata diretta” molto più limpido e sicuro nel dare valore al merito sulle singole professionalità.
E infine, sarò impopolare, ma la scelta del testo Gelmini di assegnare più risorse alle Università migliori, seppur lodevole in linea di principio, costituisce un'occasione sprecata atteso che l'attribuzione dei benefici economici non può essere il risultato di trasferimenti centrali, ma deve, quantomeno, essere coadiuvata e supportata da un corretto aumento delle tasse universitarie, consentendo così a ciascun ateneo di stabilire l'importo delle stesse, possibilmente differenziato tra singoli corsi di laurea, in ragione alla qualità che ciascuna Università è in condizioni di offrire.
Alessandro Polcri
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