venerdì 9 marzo 2012

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Riforma del mercato del lavoro tra flessibilità e stabilità. Le novità e i punti in discussione.

L’Unione Europea e gli osservatori internazionali da anni chiedono all’Italia di adottare una serie di riforme strutturali per favorire il rilancio dell’economia. Una di queste riguarda, appunto, il mercato del lavoro del quale si chiede, rispettivamente e principalmente, da un lato una maggiore flessibilità in entrata per invogliare le imprese ad assumere nuovi lavoratori; e dall’altro lato meccanismi meno restrittivi per quanto riguarda la cosiddetta flessibilità in uscita attraverso licenziamenti individuali anche in deroga al temuto articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che comunque rimarrebbe in vigore anche nell’ipotesi di riforma prospettata dal Governo. In sostanza si tratta di spezzare quel “dualismo nelle tutele” che vede contrapposti da un lato quei lavoratori ipergarantiti e ormai assorbiti dal sistema e, dall’altro lato tutti gl’altri che invece rimangono fuori e si trovano in uno stato di precarietà protratto nel tempo. L’intenzione del Governo, e in particolare, del Ministro titolare del dicastero delle Politiche Sociali e del Lavoro, Fornero, è proprio quello di mitigare il fenomeno della precarietà sopra ricordato - come effetto delle “formule contrattuali a tempo” - mantenendo però al contempo la flessibilità del mercato in entrata delle riforme, rispettivamente delineate nel pacchetto Treu e nella legge Biagi. Le novità dunque, se possiamo definirle tali, ricadrebbero tutte sulla cosiddetta flessibilità in uscita e cioè sulla possibilità per le imprese, anche per quelle di maggiori dimensioni, di licenziare - poi nel proseguo vedremo in che limiti - il singolo lavoratore per motivi economici, tecnici o organizzativi fatta eccezione per quelli cd.discriminatori. Una proposta del genere, è ferma in Senato, e vede come primo firmatario il Sen. Nerozzi e fra gli altri anche il giuslavorista e senatore Pietro Ichino e reca norme per l’istituzione del contratto unico di ingresso ( CUI). Un’ipotesi, questa, che ha un precedente illustre nella proposta di “Statuto dei Lavori” di Biagi e Treu; poi ripresa , recentemente, ( nel novembre 2010) dall’ora Ministro Maurizio Sacconi se pur con delle differenze di contenuto. Infatti, nella versione “sacconiana” si dà maggiormente risalto alla disciplina del nuovo apprendistato per farne, diversamente e contrariamente alla proposta Ichino, il rapporto prevalente nel primo accesso (e nel rinserimento ) nel mercato del lavoro. Con la previsione, questa la novità, dell’estensione dell’applicazione della medesima figura contrattuale anche alle collaborazioni coordinate e continuative ( anche nella modalità a progetto ) e ai titolari di partita IVA la cui posizione di dipendenza dal committente sia accertata. Seguendo, invece, il percorso della proposta di iniziativa legislativa Nerozzi-Ichino, che sta alla base appunto della Riforma Monti-Fornero, emerge chiaramente già dalla Rubrica del disegno di legge la ratio della norma e cioè quella di istituire una figura contrattuale di base a tutele progressive al fine di conciliare la flessibilità - richiesta dal mercato - con le esigenze di stabilità dei lavoratori. Questo però non significa che con il CUI verrà introdotta un’ulteriore figura contrattuale da aggiungere alle quarantaquattro già esistenti. Al contrario, la sua “unicità” sta nel fatto che il contratto è da intendere a tutti gli effetti come un contratto “standard” a tempo indeterminato a cui si riconoscono e garantiscono tutele minime e puntuali a tutti i lavoratori, anche a quelli che oggi sfuggono alle maglie della contrattazione collettiva; oggi decentrata. Difatti, con la presente, non si proibisce l’uso della altre formule contrattuali cd. atipiche, ma si mira, diversamente, a scoraggiarne l’uso, o meglio a renderle meno competitive rispetto alla regola del contratto a tempo indeterminato. A questo fine il ddl Ichino modifica la disciplina vigente dei contratti a termine, prevedendo, accanto alla reintroduzione di vincoli causali oggettivi ( stagionalità, sostituzione temporanea di lavoratori, lavori nello spettacolo) un vincolo riferito al contenuto minimo della prestazione lavorativa, fissato in Euro venticinquemila ( 25.000) annui lordi per una prestrazione di lavoro subordinato a tempo determinato. In più, per le forme cosiddette di parasubordinazione, quali le collaborazioni a monocommittenza, si prevede che, in aggiunta al vincolo di natura retributiva, da specificare poi nella normativa di dettaglio, gli oneri contributivi previdenziali dovranno essere portati gradualmente allo stesso livello del lavoro di natura subordinata. Questo, a grandi linee, è quanto emerge dal dettame, sul quale poi va precisato che la medesima figura andrà a operare secondo un’articolazione composta da due fasi, la prima definita di “ ingresso” di durata non superiore a tre anni, e una successiva “fase di stabilità” caratterizzata da un meccanismo di tutela progressiva della stabilità. Con la previsione, che in caso di lincenziamento al lavoratore venga in ogni caso riconosciuta un’indennità economica di valore decrescente nell’arco del triennio durante il quale sarà impegnato in un piano di ricollocamento lavorativo. Per poi, a decorrere dall’inizio della fase di stabilità, riprendere vigore la tutela reale laddove già prevista nell’ordinamento vigente. Questo sta a significare che la flessibilità si riduce ai primi tre anni di rapporto, dopo di che, ritrova espressione “il benedetto art.18” salvo che il Governo e con esso, le parti sociali, trovino un accordo in materia. ( Ne dubito fortemente!) A completamento della riforma - che secondo i piani del Governo andrà comunque a regime non prima dell’autunno del 2013 - c’è la volontà di mettere in discussione l’assetto degli ammortizzatori sociali, con la previsione dell’unificazione delle tutele, così come previste, in luogo del trattamento di cassa integrazione per cessazione di attività, delle indennità di mobilità e di disoccupazione attraverso un unico strumento di tutela del reddito da estendere a tutti i lavoratori e per tutte le tipologie di lavoro. Ma sul punto, è bene precisarlo, non c’è accordo tra le parti in gioco e quel che è peggio, mancano le risorse pubbliche per addivinire ad una simile ipotesi conclusiva. Vedremo !

 

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