lunedì 8 ottobre 2012

Decreto crescita 2.0 : Le novità più importanti per il cittadino.


Approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 4 ottobre, il decreto crescita bis, ribattezzato decreto 2.0 per le importanti novità contenute - anche se non le uniche presenti nello stesso - in merito all'implementazione e sviluppo della rete internet e nella digitalizzazione della P.A. Più precisamente, è obiettivo del Governo con questo secondo pacchetto di misure “ fare del nostro Paese - così, si legge nella relazione governativa che accompagna il decreto - un luogo nel quale l'innovazione rappresenti un fattore strutturale di crescita sostenibile e di rafforzamento della competitività delle imprese”. Quattro , sono i capisaldi sui cui poggiano le norme del decreto e sui cui il Governo intende intervenire del medio periodo. Nel primo dei quattro capisaldi di intervento, ci sono le norme per l'applicazione dell'Agenda Digitale Europea, attraverso la quale “ l'Italia andrà a dotarsi nel breve periodo di uno strumento normativo forte per la realizzazione delle strategie, delle politiche e dei servizi di infrastrutturazione e innovazione tecnologica del Paese”. Fra le novità più importanti, spicca - così recita il primo articolo del decreto legge - quella dell' “identità digitale” e dei “servizi innovativi” annessi. Ciò significa che, presto, si potrà dire addio alla vecchia carta di identità e alla tessera sanitaria; al loro posto, i cittadini potranno dotarsi di un unico documento elettronico, che consentirà di accedere più facilmente a tutti i servizi online della P.A. Tale documento, sostituirà progressivamente tutti quelli attualmente in circolazione, e sarà il punto di riferimento unitario attraverso cui il cittadino verrà registrato e riconosciuto dalle amministrazioni dello Stato. Ancora, dal primo gennaio del 2013, ogni cittadino avrà la facoltà di comunicare con la P.A anche soltanto tramite un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC), tanto da costituire domicilio digitale del cittadino e, in subordine , con annesso inserimento nell'anagrafe nazionale della popolazione residente, in modo che possa essere utilizzabile da tutte le amministrazioni pubbliche. Andando avanti - si legge nel decreto - fra le misura a favore delle famiglie per ovviare al cd.“ caro libri” c'è la possibilità , a partire dall'anno scolastico 2013-14, di accedere ai libri di testo in versione esclusivamente digitale, oppure in abbinato con il cartaceo. Sul versante della sanità, invece, a breve prendere corpo il “fascicolo sanitario elettronico (FSE), che conterrà tutti i dati digitali di tipo sanitario e socio-sanitario del cittadino, raccogliendo di fatto tutta la storia clinica del paziente. In più - a corollario - verrà accelerato anche il processo di digitalizzazione delle prescrizioni mediche, definendo tempi certi e uguali su tutto il territorio nazionale. Inoltre, il Governo intende nel mediato “ estendere la spendibilità delle prescrizioni - attualmente limitata alla singola regione – a tutto il territorio nazionale. Scendendo di qualche articolo del decreto, precisamente l'art. 14, individua fra gli obiettivi strategici dell'agenda governativa, l'azzeramento del divario digitale infrastutturale nazionale attraverso “la diffusione della connessione internet anche in zone ancora non coperte attualmente dal servizio”. Il Governo in proposito, ha stanziato ulteriori centocinquanta milioni di euro, rispetto alle risorse già rese disponibili in precedenza . A queste si aggiungono le risorse che il Governo altresì si impegna a individuare per per la diffusione anche nella restante parte del territorio - per intendersi, quella già coperta dal servizio internet veloce - attraverso la messa in opera dell'”ultra banda larga” e annessi dispositivi wireless. Ultimi due aspetti, da ricordare, ( e che afferiscono al primo caposaldo di intervento) sono la “monetizzazione e fatturazione elettronica” e gli adempimenti in merito alla “giustizia digitale”. Per il primo aspetto a decorrere dal 1 gennaio 2014, “ i soggetti – così si legge nell'art. 15 del decreto – che effettuano attività di vendita di prodotti e prestazioni di servizi, anche professionali, saranno tenuti, ad accettare pagamenti con carta di debito”. Per il secondo, invece, vengono introdotte disposizioni per snellire modi e tempi delle comunicazioni e notificazioni in modo da rendere più efficienti i servizi in ambito giudiziario tra cittadini e imprese. In particolare, “ nei procedimenti civili tutte le comunicazioni e notificazioni a cura delle cancellerie o delle segreterie degli uffici giudiziari verranno effettuate esclusivamente per via telematica” purché il destinatario sia munito di posta certificata. Passando per il secondo caposaldo di intervento governativo, si introduce per la prima volta nel panorama legislativo italiano “un quadro di riferimento organico per favorire la nascita e la crescita di nuove imprese innovative (ovvero comunemente conosciute con il termine di origine inglese, startup). Su questo, il Governo ha messo subito a disposizione circa 200 milioni di euro, sotto forma di incentivi e fondi per investimento. Naturalmente, non tutte le imprese di nuova costituzione possono accedere a tali benefici: è la stessa legge a indicare le caratteristiche e criteri per farne parte. Sostanzialmente, in sintesi, con il termine “nuova impresa innovativa” si fa riferimento a un preciso oggetto sociale, legato “allo sviluppo e alla commercializzazione di prodotti o servizi innovativi al alto valore tecnologico”. Nel terzo caposaldo, invece, fra i tanti interventi, è interessante menzionare quello legato “all'accesso al credito delle piccole e medie imprese” divenuto, oggi , più che mai fondamentale nel corso della crisi. Sostanzialmente, la norma propone – senza che ciò comporti oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato – che venga riconosciuto in favore di “confidi” ( consorzio di garanzia collettiva dei fidi) la possibilità diretta di attingere a fondi costituiti da contributi dello Stato, delle Regioni e di altri enti pubblici. Nell'ultimo caposaldo, sempre nell'interesse del cittadino medio, c'è da rilevare come, con il presente decreto legge, da ora in avanti tutte le “clausole di tacito rinnovo eventualmente previste” nel contratto di assicurazione verranno abolite ex lege. Inoltre, sempre per decreto, verrà definito una schema di “contratto base” di assicurazione civile auto, nel quale “ prevedere tutte le clausole necessarie ai fini dell'adempimento di assicurazione obbligatoria” . Lo stesso, poi , dovrà essere reso pubblico anche tramite internet dalla compagnia assicurativa e dovrà essere accompagnato dal preventivo “sul costo complessivo individuando separatamente ogni eventuale costo per i vari servizi aggiuntivi.” Da ultimo, a tutela del consumatore-assicurato, si inasprisce le norme sulla pubblicità , e più specificamente gli obblighi per le compagnie assicurative di predisporre nei propri siti internet “aree riservate attraverso le quali consentire ai propri clienti di verificare lo stato delle proprie coperture assicurative, le scadenze, i termini contrattuali sottoscritti, la regolarità dei pagamenti di premio” secondo procedure similari a sistemi di homebanking

martedì 10 luglio 2012

La riforma del lavoro Fornero, e il tema dei licenziamenti. Ecco cosa cambia

La cd. riforma Fornero, è definitivamente legge dallo scorso 28 giugno, giorno della sua pubblicazione in Gazzetta ufficiale. Si tratta di un complesso di interventi che vanno sotto il norme di “ disposizioni generali, tipologie contrattuali e disciplina in tema di flessibilità in uscita e tutele del lavoratore” e intendono realizzare un mercato del lavoro che sia al tempo stesso inclusivo e dinamico, e che sia in grado di contribuire alla creazione di occupazione, di “quantità e qualità”. Questo significa altresì - come del resto avevo evidenziato in un precedente ariticolo, sempre su queste colonne e a proposito di ipotetici scenari di riforma - , che l’offerta di lavoro in futuro , per rinnovarsi , dovrà tradursi - necessariamente - in un sistema con meno regole, ancorchè puntuali, affinchè il nostro mercato ritorni - sempre che lo sia stato - competitivo e appetibile verso gli investimenti, in particolari quelli stranieri. Cosa che del resto ci ha chiesto la stessa Europa con una serie di richiami a cui ‘ la Ministro Fornero’ ha cercato , timidamente, di dare risposta .


Essenzialmente la riforma si sviluppa su quattro direttrici : nella prima, nell’ambito delle tipologie contrattuali esistenti , si mira a rendere, da un lato, più stabile e prioritario il lavoro subordinato a tempo indeterminato attraverso una serie di limiti e di pesi tendenti a rendere maggiormente onerosi i ccdd. contratti precarizzanti, quali quelli a tempo. E dall’altra parte, si eleva a percorso elettivo , l’apprendistato quale modalità prevalente di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.
Nella seconda direttrice, quella a proposito di “flessibilità in uscita” , c’è la parte - a mio giudizio - più importante e maggiormente significativa dell’intera riforma: e non tanto per le innovazioni successe a tale intervento, poche e di poco conto, ma per il cambiamento culturale insito nella riforma stessa che ha novellato l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, - quello per interci sul ” diritto alla reintegrazione del posto di lavoro” - che fino a poco tempo fa era ritenuto - a torto o ragione - per molti un vero e proprio tabù.

In quest’ordine di idee, la riforma Fornero ha avuto almeno un merito: quello di aver contribuito a cambiare il vocabolario e il linguaggio degli italiani.Così dalla novella dell’art.18 escono di scena le parole “reintragrazione e posto di lavoro “ per subentrarvi la più generica formula di principio “ tutela del lavoro in caso di illegittimo licenziamento”. Solo dal nome si evince che non è più il “posto di lavoro” che la legge aspira a tutelare, ma il lavoro inteso quale “ diritto contentibile e inalienabile al contempo” come del resto ha affermato con una celebre esternazione: “il lavoro non è un diritto”, la stessa Ministro Elsa Fornero a pochi giorni dall’approvazione in Parlamento della stessa riforma, in un’intervista rilasciata al prestigioso “Wall Street Journal” .

Entrando nel merito della questione dei licenziamenti individuali, si può con una certa tranquillità dire che la presente riforma non ha smantellato, come qualcheduno pensa, le tutele dei lavoratori, anzi in taluni casi sono state addirittura ampliate. Con ciò alludo alla cosidetta “tutela reale” o di “reintegrazione del posto di lavoro” che anche grazie alle modifiche apportate all’art. 18 rimane “ una forte e ineludibile garanzia a favore del lavoratore a fronte di licenziamenti ingiustificati.”
In particolare è stata tipizzata e rinforzata la formula “ licenziamento per motivi discriminatori o ritorsivi” che ha ottenuto la massima tutela offerta dal sistema attraverso “la declaratoria di nullità da parte del giudice, con sentenza che ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalemente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro”. In siffatta ipotesi, il giudice condannerà altresì il “datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore, stabilendo a tal fine un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito ( aliunde perceptum) nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative” . E comunque l’indennità, in tal caso non può essere inferiore a cinque mensilità.

Sempre sulla stessa scia, il giudice potrà condannare il datore di lavoro alla reintegrazione del posto di lavoro di quel lavoratore che a fronte di quelle violazioni di maggior gravità si accerti l’insussistenza , o la manifesta insussistenza del fatto contestato che stato alla base del motivo o della causa di licenziamento, sia essa soggettiva e cioè legata alla condotta del singolo lavoratore sia essa oggettiva legata a ragioni di natura tecnica, organizzativa e produttiva. In questo caso, ad un siffatto precetto si aggiunge poi anche la condanna ad un’indennità risarcitoria equipollente - nei criteri di quantificazione sul dovuto - a quella del “licenziamento discrimitario” , ma diversa nella corresponsione degli stessi, e cioè nella misura che non potrà essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto.
Nell’uno e nell’altro caso, licenziamento discriminatorio da una parte e per ingiusitificato motivo o ingiusta causa grave dall’altra, il datore di lavoro è comunque tenuto, al di là della misura dell’indennità risarcitoria corrisposta, a versare, per il medesimo periodo che il lavoratore è rimasto lontano dal lavoro, sia i contributi previdenziali che quelli assistenziali.

Si inserisce in questo quadro, sostanzialmente immutato rispetto alla previgente disciplina dell’art 18, la possibiltà per i licenziamenti cd. di minor gravità ( nelle altre ipotesi, cosi definti dal testo di legge) in relazione all’ingiustificato motivo o ingiusta causa delle motivazioni accertate davanti al giudice siano esse di natura oggettiva che soggettiva, la possibilità di corrispondere in luogo della tutela alla reintegrazione del posto di lavoro un’indennità risarcitoria nella misura - questa volta superiore a quelle dell’ipotesi precenti richiamate - di un minimo di dodici mensilità ad un massimo di ventiquattro; modulabili a discrezione del giudice in base a determinati criteri a cui la legge rimanda.

In sostanza per esemplificare ancora, la legge divide le ipotesi di licenziamento tra quelle a tutela cd. forte, con cui obbliga il datore a reinserire il lavoratore al proprio posto, da quelle - la novità - a tutela cd. debole, che risconosce - diversamente - la sola corresponsione dell’indennità risarcitoria a fronte dell’illegittimità accertata del licenziamento.
Infine, con la terza direttrice di riforma si introduce uno specifico rito, sulla falsa riga di quello cautelare, al fine di creare una corsia preferenziale per le controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti.

Il tutto poi va confrontato, con una riforma di più ampio respiro, anch’essa all’interno della medesima legge ( quarta direttrice) che attraverso l’Aspi ( assicurazione sociale per l’impiego) renderà più efficiente, equo e coerente l’assetto degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive in una prospettiva di universalizzazione e di rafforzamento dell’occupabilità delle persone. In sostanza, da oggi, le imprese dovranno “farsi carico con un aggravio di costi per le stesse” di una forma di assicurazione dove confluirà in un unico strumento, l’Aspi appunto, l’indennità di mobilità e quella di disoccupazione.

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