generale
Si fa un gran parlare di acqua pubblica o privata, c'è chi addirittura ha pensato di costruirci attorno una carriera politica, vedi l'incessante campagna di propaganda personale del Sindaco Bianchi di questo fine mandato, ma comunque il nocciolo della questione rimane insoluto: e cioè se il pubblico debba ritornare a gestire in prima persona una risorsa importante - ma al tempo stesso onerosa – quale l'acqua , o diversamente proferire una riforma del mercato dei servizi pubblici che spezzi il legame fra politica e la gestione diretta dei servizi. Personalmente sono decisamente a favore della seconda opzione, ma capisco i tanti che la scorsa estate sono andati a firmare per riportare la gestione del servizio idrico interamente nelle mani del Pubblico, e cioè della politica. So che quando si toccano tematiche come quella dell'acqua si rischia di essere impopolari, ma la verità come si usa dire: " non ha prezzo".Vedo di spiegarmi meglio. Innanzitutto la normativa Ronchi-Fitto, per la quale si chiede l'abrogazione attraverso referendum, non privatizza l'acqua come diversamente si vuol passare come vulgata fra l'opinione pubblica. Ma cerca di dividere la gestione del servizio dalla politica tariffaria e dal relativo potere di controllo gestionale, da assoggettare quest'ultimo alla sola Autorità Pubblica. In poche parole si privatizza la gestione del servizio che porta l'acqua ai rubinetti e finanche al suo smaltimento, mantenendo però nelle mani pubbliche, come giusto che sia, la proprietà degli impianti e il potere di determinare la politica tariffaria da legare alla gestione del servizio, nonché il controllo sulla società di gestione stessa. E questo non perché come dicono i referendari “si vuole far arricchire il privato”, ma diversamente perché il solo pubblico in questi ultimi decenni ha letteralmente fallito: prova ne è la mancanza di investimenti sulle reti idriche del Paese, e il fenomeno ad esso correlato delle cosiddette” reti colabrodo”: ogni anno si arriva a disperdere nel sottosuolo circa il 40% dell'acqua che passa dagli impianti idrici del territorio nazionale, nel silenzio più generale e senza alcun patema di ordine morale o economico.
L'altro elemento - che è all'interno della riforma Fitto-Ronchi, non certamente secondario - riguarda la competitività del sistema generale dei servizi pubblici da legare allo strumento della gara ad evidenza pubblica. Un metodo capace di creare le condizioni minime e utili affinché ci sia un giusto rapporto tra tariffa e qualità del servizio. E non da ultimo per combattere il clientelismo che è insito dove è più forte il legame fra politica e gestione diretta dell'attività amministrativa o gestionale di servizi o bisogni collettivi.Per semplificare, ad oggi Nuove Acque spa è società a capitale misto pubblico, dove il privato è stato scelto con l'affidamento diretto per cooptazione, e non diversamente come prevede la riforma per gara ad evidenza pubblica. E' ovvio che quando è la stessa politica che discrezionalmente scegli il proprio partner si crea un circolo vizioso che lega il pubblico con il privato, tale da indurre quest'ultimo a pensare più al profitto che al servizio, ben sapendo che il suo salvacondotto si chiama “politica” così da rimanere immune da quel binomio “responsabilità- rischio” che è garanzia minima per la soddisfazione del consumatore-utente. Arezzo in questo caso ne sa qualcosa, le tariffe in 10 anni sono aumentate in modo esponenziale senza che la qualità del servizio o gli investimenti siano cresciuti in modo proporzionale alle spese sostenute dai cittadini sulla bolletta. Questo ultimo aspetto: l'aumento dei costi per l'utente-consumatore, non deve però essere incautamente interpretato come effetto di una privatizzazione della gestione dei servizi pubblici, ma deve diversamente essere legato al perdurare della condizione di monopolio - non solo tecnico , ma di fatto – che ha avuto e continua a beneficiare la società Nuove Acque spa. E che può essere spezzato solo ed esclusivamente se si introduce l'obbligo della gara, come altresì elementi di responsabilizzazione della parte privata nella gestione del servizio.
Questo vuol dire che con la Riforma Fitto-Ronchi le tariffe dell'acqua non aumentaranno ma diversamente diminuiranno nel tempo, in raffronto al grado di competitività e efficienza che il mercato dei servizi sarà capace di raggiungerà nel medio e lungo termine. Ecco perché bisogna sfatare un mito che lega “ le liberalizzazioni tramite privatizzazione” dei servizi all'aumento delle spese per il consumatore-utente. Anzi è vero il contrario si fanno le liberalizzazioni per accrescere l'efficienza, l'efficacia e non da ultimo la possibilità di scelta del consumatore-utente. Un altro buon motivo per dire “ no” ad un ritorno al passato fatto di sprechi e mala gestione della politica, che spesso non ha neanche le competenze per gestire in prima persona un servizio così complesso che, richiede diversamente, capacità manageriali e di conoscenza settoriale. In fin dei conti è vero che nel passato si pagava una bolletta, che se raffrontata ad oggi , appariva irrisoria ma il costo reale del servizio comunque veniva accollato sul bilancio del Comune: in sostanza la spesa era mascherata dall'uso dell'indebitamento pubblico. E poi non capisco perché se si liberalizza tramite privatizzazioni servizi o utenze quali le telecomunicazioni, l'energia elettrica e il gas, la cosa possa apparire giusta e migliorativa per l'interesse generale, diversamente se lo si fa per il servizio idrico la posizione cambia, come se ci fosse una ragione etica e morale che desse all'acqua una sorta privilegio rispetto agli altri servizi.
diritto in pillole

La Corte Costituzionale, attraverso questione di legittimità, posta dal Tribunale di Milano e dal Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Roma, dichiara il giorno 19 ottobre 2009 la illegittimità costituzionale dell’art.1 della legge 124/2008, meglio conosciuta come Lodo Alfano.
Ambedue i procedimenti, quello del Tribunale di Milano e del G.I.P di Roma, riguarda[va]no l’imputato Silvio Berlusconi quale cittadino e, in funzione della presente legge, anche come legittimo beneficiario del provvedimento di protezione varato dal Guardasigilli Angelino Alfano, suo estensore.
Con tale provvedimento, la maggioranza di Governo sperava di accantonare le problematiche giudiziare del Presidente del Consiglio Berlusconi, per concentrarsi sul programma di governo.
A ben vedere, il Lodo Alfano non è l’unico provvedimento di legge che il Governo Berlusconi adotta per gestire l’impasse istituzionale: infatti già nel 2003 attraverso il Lodo Schifani, si cercò di mettere al riparo, il Presidente del Consiglio da eventuali procedimenti giudiziari, al fine solo di conciliare il diritto alla difesa, con gli incarichi istituzionali delPremier.
Il Lodo Alfano e Schifani, ricalcano la medesima ratio : cioè riconoscere una sorta di immunità (immunità in senso ampio) a favore delle più alte cariche dello Stato, estendendola ai Presidenti di Camera, Senato e Repubblica.
La Legge 124/2008, “differisce sostanzialmente” dal precedente Lodo , riguardo: “la temporaneità dell’effetto sospensivo del processo”, reiterabile per un solo mandato e, dalla “possibile rinuncia” dello stesso beneficio da parte dell’imputato. Elementi questi che , a seguito della disamina della Corte del Lodo Schifani (con sentenza 24/2004), vennero suggeriti quale parametro per la legittimità del successivo intervento legislativo.
Scendendo nel dettaglio della motivazione sull’illegittimità del Lodo Alfano, la Corte pone attenzione alle censure poste dai rimettenti ( Tribunale di Milano e GIP di Roma) e, chiarisce che l’effetto “sospensivo del provvedimento per i processi” in corso verso le più alte cariche dello Stato, deve essere considerato alla stregua di un eccezionale strumento derogatorio ( al diritto comune): cioè quale strumento idoneo a tutelare lo svolgimento delle funzioni degli organi costituzionali, attraverso “la protezione” dei titolari delle cariche ad essi connesse.
Statuito, che l’effetto sospensivo, altro non è che una immunità in senso ampio, la Corte ne deduce che tale differenzazione di trattamento nella giurisdizione, rispetto ai comuni cittadini, debba essere ritenuta ingiusta ( nel senso di irragionevole) perché, va ad inficiare l’eguaglianza formale e sostanziale dei cittadini davanti “La Legge”.
La Corte dichiara , altresì illegittimo il Lodo Alfano, perché ritiene lo strumento ordinario ( la legge), non sufficientemente idoneo a apportare tali innovazioni all’interno del nostro ordinamento e, che tali debbono necessariamente – le innovazioni – essere poste con lo strumento della legge costituzionale ( la quale si sa, ha un iter particolarmente lungo, come garanzia per la modifica della nostra Costituzione).
E’ inopinabile, infatti che nel nostro ordinamento costituzionale, ogni qual volta il legislatore, abbia voluto introdurre delle specifiche prerogative in deroga al diritto comune, lo ha fatto facendo ricorso al legge costituzionale, cioè quella legge dotata di una forza ( nel senso di resistenza all’abrogazione) maggiore rispetto alla mera legge ordinaria, attraverso la quale di fatto si è approvato il Lodo Alfano.
Infine, le difese ( quella di parte e erariale) nel giudizio davanti alla corte, pongono però un interrogativo fondamentale, a cui il “giudice delle leggi” sembra non dare molto valore, se non attraverso argomentazione sofistiche, difficili da condividere.
Si tratta della legge del 1983/148, che introduce con legge ordinaria, l’insindacabilità delle opinioni espresse dai componenti del Consiglio Superiore della Magistratura.
A rigor di logica, anche per l’insindacabilità delle opinioni espresse dal CSM, dovrebbe valere lo stesso metro di giudizio accolto dalla Corte per il Lodo Alfano: cioè disconoscere per principio ad una legge ordinaria, la possibilità di introdurre nell’ordinamento prerogative costituzionali (o immunità in senso ampio).
Per questo, ( a giudizio dello scrivente) non si capisce perché, se il legislatore del 1983, introduce con legge ordinaria una sorta di immunità ( sempre in senso ampio), essa sia da ritenere legittima e, invece contrariamente se il legislatore del 2008, chiede una mera sospensione del processo, la stessa sia ritenuta – questa volta – non solo illegittima sul piano dell’uguaglianza, ma anche inidonea ad apportare prerogative nel nostro ordinamento attraverso l’uso della legge ( come strumento ordinario).
A questo punto, al legislatore non permane che sanare l’illegittimità del lodo, attraverso l’uso della doppia votazione, necessaria per approvare una legge costituzionale.
© pubblicato su l’Eco del Tevere – edizione invernale